Professione Perito d’Arte

I Falsi nell’Arte I

Un problema etico ed estetico

Video promosso dall’Art GAP Gallery di Roma

Mosso dalla volontà di conseguire il massimo profitto con la minima spesa, l’uomo fu attratto dalle tecniche di falsificazione già cinquemila anni fa! Con la nascita del collezionismo, l’attitudine a contraffare gli oggetti d’arte ha conosciuto un forte incremento, dando luogo a una casistica quanto mai variegata ed enigmatica. La categoria di “falso”, così come quella di “originale”, conosce molte sfumature e, in assenza di fonti, si muove spesso sul terreno scivoloso del giudizio storico ed estetico. Questo video, che costituisce il testo del presente articolo, vuole essere una piccola introduzione al grande tema dei falsi nell’arte e ad alcune delle problematiche che ne derivano.
Si falsificava già cinquemila anni fa!
Fin dai tempi più antichi il desiderio di arricchirsi spinse a sostituire gli oggetti di grande valore con oggetti di minor valore per conseguire il massimo profitto con la minima spesa.

Il cosiddetto Papiro di Leida testi alchemici sulla produzione di tinture e di leghe metalliche simili ai metalli preziosi. Da Seneca, apprendiamo che al tempo di Cesare, esistevano officine che falsificavano le pietre preziose, mentre in età pre-cristiana la riproduzione di monete false era punibile con la morte. Nonostante ciò, i concetti di “falso” e “plagio” sono delle acquisizioni relativamente recenti.

Nel Rinascimento, con l’accrescersi del gusto per il collezionismo, soprattutto delle antichità, nasceva un vero e proprio mercato mosso dalla legge della domanda e dell’offerta.

Spesso, il falsario di classe era un vero e proprio creatore: Michelangelo, per Pier Francesco de’ Medici, trasformò un Cupido recente in uno “antico”, Rubens, realizzava copie su commissione e citava alla lettera artisti come Tiziano. Ad Andrea del Sarto venne richiesto in diverse occasioni di realizzare opere identiche a quelle di Raffaello o ancora, Luca Giordano era celebre per dilettarsi a imitare stili e maniere antichi e moderni.

Nel Seicento, l’opera d’arte diviene ufficialmente una merce. Si affermano e si differenziano generi pittorici facilmente commerciabili e le botteghe, educate allo stile del maestro, producono le opere quasi “serialmente”.

Nel 1766 a Londra, James Christie fonda la prima grande casa di vendite all’asta riservata esclusivamente alle opere d’arte e nel giro di un ventennio in quasi tutti i settori della produzione artistica, i prezzi erano sono in forte aumento.

La formazione dei musei e delle grandi raccolte a cavallo tra Sette e Ottocento, portò all’ulteriore aumento del valore economico delle opere rimaste in circolazione, incentivando non poco l’attività dei falsari.

Già alla fine del Settecento, Luigi Lanzi poneva le analisi chimiche tra i possibili metodi per documentare le tecniche e lo stato di conservazione ma anche la presenza di pesanti restauri e di contraffazioni.

La figura del connoisseur ottocentesco dall’occhio infallibile oggi ha perso l’aura di irreprensibilità che aveva in passato. Ora le expertise più ambite sono quelle degli storici dell’arte specializzati e di fondazioni e archivi e la pratica dell’attribuzione è divenuta più complessa e articolata, e può giovarsi di un’ampia tipologia di indagini scientifiche.

La categoria del “falsi” è articolata e complessa perché esiste una tale varietà di forme ibride, (come le copie, le repliche, le imitazioni, i rimaneggiamenti o le contraffazioni vere e proprie) da rendere quasi impossibile una delimitazione rigorosa. Si sceglie di falsificare autori ben precisi e imperituri, come di ricreare delle opere, che siano filologicamente vicine a quel determinato periodo richiesto dal mercato o conforme alla sensibilità dell’epoca, come nel caso di Anton Raphael Mengs e della cultura neoclassica.

Come affermava Cesare Brandi, il falso non è falso finché non viene riconosciuto come tale. La falsità sta nel giudizio, non nell’oggetto. Mentre, potremmo dire, il reato sta nell’intenzione, non nell’atto. Brandi distingue tre casi fondamentali:

Il primo: La realizzazione della copia o dell’imitazione per fini di documentazione e diletto e/o per essere messi sul mercato come dichiaratamente non autentici.

Il secondo: La produzione al fine di trarre in inganno.

Il terzo: L’inserimento nel mercato di un oggetto che si sa inautentico, come un’opera autentica. Infatti, la legge non punisce la falsificazione in sé ma la frode ovvero l’intenzionalità di ingannare l’acquirente.

Come il falso, anche il concetto di originalità non è affatto univoco.

Ad esempio, la letteratura in materia distingue l’ORIGINALE dall’AUTENTICO. Usando ORIGINALE si pone l’accento sull’epoca, il luogo e il contesto di realizzazione mentre con AUTENTICO ci si sofferma sull’autorialità. A complicare la faccenda, il concetto di UNICITÀ rilancia invece la componente di novità che accompagna la definizione di ciò che è arte.

Distinguere l’opera autentica da quella falsa pertiene alla pratica dell’attribuzione e alla percezione storica. Può accadere che opere accettate ieri come autentiche, oggi vengano poi rivalutate. Infatti, i falsi presentano spesso delle concessioni al gusto dell’epoca in cui sono stati prodotti. Si pensi al caso emblematico di Han van Meegeren, il più celebre falsario di Vermeer, e ai suoi dipinti, in realtà stilisticamente piuttosto lontane dalla sensibilità olandese del Seicento.

In Storie e segreti dal mercato dell’arte, uscito nel 2019, Simone Facchinetti scrive: «l’opera falsa è come una bugia, trova sempre qualcuno pronto a crederle. In genere il falso è bello, appariscente, insomma, non può fare a meno di dare nell’occhio, soprattutto a chi è sovrappensiero. Non che gli esperti ne siano immuni. Anche loro amano girarci intorno, lo annusano, lo toccano, sentono un’attrazione fatale verso il falso.»

Gli imitatori potranno replicare le caratteristiche stilistiche del passato o di altri artisti con intelligenza, capacità di penetrazione e anche creatività ma, se non altro, non conferiranno mai lo stesso significato storico ed estetico del primo autore.

Possiamo dire, per concludere questa prima parte, che il nostro apprezzamento di un qualcosa è legato indissolubilmente al contesto che l’ha prodotto e su questo rapporto si fonda il giudizio di valore che formuliamo e che si rinnova nel tempo.

Si conclude qui il primo video – articolo sui falsi nell’arte. Grazie ancora per l’attenzione!

Da qui si va all’articolo precedente che tratta il tema dei falsi!

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BIBLIOGRAFIA:

  1. F. Arnau, Arte della falsificazione, falsificazione dell’arte, Feltrinelli, Milano 1960
  2. C. Brandi, Falsificazione in “Teoria del Restauro”, Einaudi, Torino 1977
  3. C. Casarin, L’autenticità nell’arte contemporanea, ZeL Edizioni, Treviso 2015
  4. P. D’Angelo, Falsi, Contraffazioni e Finzioni in “Rivista Di Estetica”, n. 31, Rosenberg & Sellier, Torino 2006
  5. Facchinetti, Storie e segreti dal mercato dell’arte, il Mulino, Bologna 2019
  6. G. Marino, Restauro e autenticità. Nodi e questioni critiche, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2006

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